Donare il plasma: cosa accade a chi accetta? I dati raccolti in tutto il mondo

Donare il plasma: cosa accade a chi accetta? I dati raccolti in tutto il mondo

Giorno dopo giorno sembra sempre più il plasma la risposta al coronavirus. Attese, costi e interessi internazionali continuano a ritardare l’uscita del vaccino mentre con le donazioni della parte liquida del sangue si fanno progressi da gigante.

Hanno donato Tom Hanks. Andrea Bocelli, il giornalista della Cnn Chris uomo e centinaia di ex positivi che con il loro piccolo grande gesto stanno aiutando l’umanità.

La donazione di plasma, come quella di sangue, non impoverisce chi la effettua ma aiuta il prossimo donando ai sistemi sanitari qualcosa che non si può creare in laboratorio ma solo il nostro organismo può produrre.

Vale di più in questo caso perché le donazioni sono ancor più straordinarie.

Chi può donare il plasma?

Per donare il plasma, quello utile per far guarire dal coronavirus, bisogna essere stati positivi ed essere guariti da almeno 14 giorni. Ecco perché le persone vengono censite tra chi ha fatto il test sierologico ed è risultato positivo.

Al momento, il potenziale donatore di plasma, che deve essere guarito da almeno 14 giorni, viene sottoposto al test sierologico (o anticorpale); se positivo, vengono effettuati due tamponi naso-faringei, per assicurarsi che il virus non sia più presente. In caso di negatività dei tamponi, si può dare il via alla donazione.

L’obiettivo per il futuro è infine quello di riuscire a mettere a punto dei plasma derivati, veri e propri farmaci (sono molte le aziende specializzate che vi stanno lavorando) ricchi di anticorpi, da utilizzare come terapia anti-Covid. Ma per questo ci vorrà ancora tempo.

Cure al plasma: i precedenti

L’infusione di plasma da convalescenti, non nasce certo con questo virus; è un trattamento vintage, autorizzato dall’Organizzazione mondiale della sanità e già utilizzato per poliomielite, morbillo, parotite e, più di recente, per Ebola, Sars e Mers.

Il plasma è la parte liquida del sangue, costituita al 90 per cento di acqua che, in chi guarisce da una malattia infettiva, si arricchisce di preziosi anticorpi, proteine prodotte dalle cellule dell’immunità che impediscono ad un virus di tornare a far danno in caso di nuova esposizione, e che restano in circolo per un periodo variabile di tempo.

Tutte le premesse, insomma, sono estremamente positive. La plasmaterapia sfrutta gli anticorpi del plasma dei convalescenti, per trattare i pazienti, conferendo una immunizzazione passiva che potrebbe aiutare a combattere l’infezione. La principale differenza con il vaccino è che quest’ultimo induce l’organismo a prodursi da solo gli anticorpi anti-Covid, determinando cioè una immunizzazione attiva che probabilmente conferirà una protezione molto più efficace e duratura di quella ottenuta con il plasma.

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